Narciso

Piango ancora per te, cugino.
Dopo un anno, ancora dopo un anno.

Poche visite, gentilezza appena sfiorata;
qualche filippica polemica contro il mondo in generale e mai una nel particolare.
Quel ghigno di chi la sa lunga,
l’espressione sfrontata del bullo di paese.
Ironico e sgarbato. Machista.

Mi stringevi tra le tue braccia, non si sa se per affetto
o per effetto della tua villanìa;
Mi dicevi: quanto sei bassa!
Giudizi bassi, per uno uomo strafottente.

Finivo sotto le tue grinfie e mi tiravi i capelli,
rude fanciullo sgraziato, mai cresciuto veramente.

Ridevi pure male; la parlata è nasale ed tipica della tua zona,
quel fastidiosissimo accento.
Qualche morso, i tuoi pizzicotti, una foto insieme per il compleanno,
il ricordo di quell’album, l’ultimo dei Gorillaz…
Questo è tutto quello che ho di te.

Poco e nulla in comune.
Se non le umili origini e il sangue di tua madre.
Forse condividevamo la comune sfrontatezza e la sfrenatezza nella vita.
Ma io preferisco quella dei sensi.

E poi ancora un’altra battuta, quella domenica mattina:
una condanna da solo; una scomessa da bullo di quartiere, delle tue.
Una di quelle frasi per giganteggiare sul nulla.
Le tue sfide aperte al destino.

Non ti compiango; piango il cugino e ho compassione dello sciagurato.
Nemmeno lo sai il danno provocato,
il dolore arrecato per un gusto provato.
Ma che t’importa… Egoista anche in morte.

Una madre si strappa ancora i capelli
ogni volta che il suo sguardo incrocia una tua foto
in corridoio, in una casa ornata di foto. Sei ovunque.

Un padre s’accovaccia in ginocchio chiedendo ancora pietà
ad un fantasma che non lo fa dormire
mentre i suoi rimorsi gli fanno visita di notte

e domandano al buon padre se lo è mai stato.

Una sorella si lascia andare giorno dopo giorno,
e giorno dopo giorno accoglie le innumerevoli crisi in casa sua;
nel frattempo porterà il nero addosso per un lunghissimo tempo che non si sa quanto.

Un umile fratello, da te molto diverso,
ha trovato mite consolazone nel porre al suo orecchio,
il tuo cimelio d’oro fendente,
l’orecchino che gli hai lasciato mentre riposavi in eterno.
Ora ne è diventata la sua gemma più preziosa.

Sei per caso a conoscenza di tutto questo scenario, uomo pallido?
Sei stato di nuovo tirato in ballo.
Ancora protagonista delle scene, pure da morto.
Ti ammiro per questo, certo, ma non ti stimo.

Un altro cugino ora fa di te un capro espiatorio
e la sua paura ricade su quel mezzo infernale, la moto.
Ha venduto la sua e con la scusa ha fatto i soldi dopo il voto.

Ma dite, per caso il morire insegna forse al vivere?
Davvero il formarsi arriva solo dopo il fermarsi quando capita vicino?
Che scempio.
Nessun cattivo esempio può far capire che un’altra vita può incrociare il destino più empio.
Molto spesso non è servito in passato.
“Tanto è così!” …”Tanti altri come lui!”
e intanto è una questione culturale? Educazione? O un (mal)affare di stato?

Io non compiango il caso.
Ho posto un fiore accanto la tua foto, dentro un vaso.

Ma forse condannarti senza tregua da parte mia è un azzardo.
Certamente l’attore dell’ultimo atto della commedia non eravamo noi.
Non c’eravamo nell’ultima scena di un “action movie” in uscita.
Schacciare quell’acceleratore in curva
era un’emozione adrenalitica troppo divertente cui resistere,
e troppo gratuita per uscirne senza prezzo.

Da parte mia combiaciano l’emozione e il pentimento per questi versi,
per averti conosciuto solo attraverso i racconti degli altri:
le esperienze e le passioni di un ingenuo cugino poco astuto,
un ottimo trascinatore di masse, un imprudente giocoliere di vite e di bandiere.

Ora puoi riposare, Narciso.

(San Vito dei Normanni, BR, luglio 2006)

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