La mia Argentina

La mia Argentina parla semplicemente.
Conosce tre parole: pane, soldi e compassione per se stessa.
Oltre il dialetto.

Si esprime concretamente,
bandisce le astrazioni,
proibisce l’altro, il nuovo.
Teme lo sconosciuto, rinnega il diverso.

Apprezza come normale,
il decorso biologico naturale:
lavoro – fatica – famiglia – vecchiezza.

Deprezza le singole scelte, l’intraprendenza e l’inclinazione personale.

Bolla con un prezzo tutto:
affetti, valori, valori bollati.
Ogni cosa viva o morta
(forse più morta. Si “valuti” la drammaturgia pomposa dei cortei cerimoniosi, per esempio…)

Disprezza la semplicità della natura verde
e la natura morale della coscienza civica;
la responsabilità etica.

Misconosce i principi della salubrità, della sobrietà,
ma inquadra bene quelli dell’addestramento remissivo indotto,
e spesso imposto dalla tradizione, spesso confusa con la fatalità.

La mia Argentina non emancipa
i suoi figli da dettami e categorie sociali. Li mortifica.
La mia Argentina non si emancipa,
per questo non sa come trattenere i suoi figli.

Terra che ci vede laboriosi ed migranti, da secoli.
Terra che eppure cova tra i suoi pargoli
slanci di rinnovamento e di genuina gloria
.

Qui nella mia Argentina, chi sogna pecca di fanciullagine!
Chi ancora si stupisce, finisce che si atterrisce.
Di chi progetta la realtà, si dice che non la conosce
e fa forse prima ad emigrare con cocciutaggine.

Chi innocentemente ha ancora degli ideali e li concepisce,
fa forse prima ad addossarsi la colpa
d’essere qui nato e d’essere stato qui concepito.

Chi spera di cambiare la Storia,
fa forse prima ad arrestare il proprio corso della storia.
E comunque a cambiare storia.

La mia Argentina, terra arsa di stimoli, pensieri, acqua e scommesse.

Terra che non sa rialzarsi.
Terra degli alibi, degli “ahimé!”, “ohimmé!”, “embé?”,
Terra che -tacitamente- non vuole rialzarsi.

Terra favorevole solo a se stessa e alla sua gente.
Terra che ostenta contraddizione e “normalità”.
Sa tutto di tutti, ma non dice niente!

Terra orgogliosa, ma non osa (di rime ne trovo a iosa!)
Terra cruda, rude. Terra che prude,
aggressiva con lo straniero,
omofoba e violenta con i suoi simili.

La mia Argentina, latinamente religiosa.
Terra di bigotti e di “infedeli” praticanti,
senza valori fondanti,
né vera fede spirituale e introspettiva,
Oppure terra con una spiritualità retrospettiva
ma valori mercificati
 e martirizzati.

Terra di operai, disoccupati e contadini,
con il riposo nei campi sotto il sole
e il sole sopra le teste sopra torsi nudi su impalcature.

La mia Argentina è una terra senza-terra.
Senza soldi, svalutata.
Svaluta il denaro e non conosce l’investimento.
Vede nell’economia i resti di una scienza esatta
con le sue virgole, le sue cifre, i suoi pochi decimali.

Terra che non feconda la terra,
o feconda senza dare un’educazione civica,
non misura con il senso della comunità
ma con il metro dell’iniquità e della forza cinica.

Troppo complesso poter esprimere argomenti di giustizia.
Troppo semplice mortificare i sogni, altresì già gettati all’immondizia.

(Lecce, luglio 2008)