Ad-agio

Non sono a mio agio nel mio disagio.
Adagio, ascolto il presagio
e accolgo il dubbio, malvagio.

Prima lo maledico, lo temo, l’ostacolo. L’oltraggio.
Il malessere di un cor sempre in litigio che indugia,
come un pellegrino inquieto e sempre in viaggio.

Poi d’un tratto un ammaraggio, un storto pilotaggio e l’atterraggio
su di uno specchio d’acqua dove ormai mollo l’ormeggio,
e non mi scoraggio anche se gorgheggio,
mentre cerco l’attraccaggio, e sono pure senza equipaggio.
Ed è in questo grigio pertugio che scorgo il miraggio.
Sono io stessa, scopro, l’ancoraggio!
Come un’aliante, adelante, ora véleggio!

Il prestigio della poesia mi viene in soccorso
come un appiglio, un appoggio, un’ancora di salvataggio.
Il sortilegio di un amletico dileggio
si trasforma nel privilegio di un regio plagio.
Il sacrilegio diventa un prodigio,
e il mio mareggio non è più un naufragio.
Come un miracolo ora passo a vantaggio e festeggio!

Così della Signora Rima allora faccio sfoggio e mi fregio.
E dell’Egregio Sig. Dubbio ne elogio il contagio!
Per questo mi firmo aenigma poiché ne conto i dubbi dall’alto fastigio
dove ora molleggio sul poggio e mi pavoneggio con il più bello dei piumaggi!

Ehi Adagio, cor di leone! Tocca fare adagio!
Indietreggia e sloggia pure da ‘sto seggio!

Te lo tratteggio allora, prima del tuo prossimo inneggio:
non è con il vaneggio, il dispregio, il sabotaggio al potere dato in appannaggio a qualche domino regio
che si risale la china dell’arrembbaggio.

Ma con la china dell’inchiosto sul carteggio
che rende omaggio al linguaggio
e riecheggia nell’aere con il suo fraseggio.

E con la forza del coraggio di un vecchio saggio
che ha scelto il suo destino selvaggio e ha accettato il passaggio,
per un lungo e periglioso pellegrinaggio.

Te lo dicevo: ci vuole cura, ci vuole tempo:
ed è su questo che poggia il mio messaggio.

(Milano, aprile 2019)